“… Ho i nervi sottosopra e non riesco ad avere il dominio di me stesso. I miei tormenti di ogni sorta sono adesso così pesanti che non voglio neppure parlarne. Mia moglie sta morendo, letteralmente. Ogni giorno c’è un momento in cui aspettiamo la sua morte. Le sue sofferenze sono spaventevoli e si ripercuotono su di me…”
Ecco come Fëdor Dostoevskij scrive in una lettera del 2 aprile 1864 al fratello Michail. Ricordi dal sottosuolo vennero scritti in uno dei più difficili periodi di vita dello scrittore: la rottura con l’amante Apollinarija Suslova, le difficoltà finanziarie causate dalla proibizione, nello scorso anno, della sua rivista Il Tempo e, soprattutto, l’aggravarsi delle condizioni di malattia della prima moglie, Marija Dmitrievna.
Destinata a riflettere anni di meditazione sull’uomo e la società, quest’opera è divisa in due parti: la prima è un monologo in prima persona, la seconda è un vero e proprio racconto. Non può sfuggire come entrambe siano legate dalla coerenza psicologica del protagonista che nella prima parte ci espone il nucleo sostanziale delle sue convinzioni e ci dà una rappresentazione della sua personalità; nella seconda si mostra in azione, facendo emergere quell’inettitudine a vivere che è logica conseguenza di ciò che aveva esposto nella prima parte.
L’impressione prodotta sul pubblico russo contemporaneo fu negativa: tale valutazione appare giustificata dal fatto che si annuncia una voce totalmente nuova non solo nella letteratura bensì nella mentalità propri di quell’epoca. Le considerazioni del protagonista apparvero strampalate, insensate, inverosimili, non valide: insignificanti. Un uomo diverso da quello fin’ora noto: l’antinomia dell’uomo moderno.
L’uomo del sottosuolo è anzitutto un uomo che soffre irrimediabilmente: è l’uomo che non tollera limiti né definizioni, senza certezze, che ha abbattuto tutti i miti, anche l’ultimo, la Ragione. La pretesa di dedurre, attraverso di essa, la conoscenza certa e definitiva delle leggi secondo cui l’uomo deve regolarsi per raggiungere la sua piena realizzazione, è infondata e porta a contraddizioni inconciliabili. Tutta la storia dell’umanità è contraddittoria e irragionevole e questa pretesa stessa è in contrasto con la libertà dell’uomo che, ridotto a un “tasto di pianoforte” diventa schiavo del “due più due fa quattro”. Il sottosuolo non è affatto un luogo ideale né la soluzione migliore:
“È meglio bensì qualcos’altro, una cosa completamente diversa, qualcosa di cui io sono assetato, ma che non troverò mai”.
Il sottosuolo è la solitudine, l’esclusione dalla società, una condanna alla lotta per la sopravvivenza e a sentimenti di odio e di dominio. Sono questi i sentimenti che ispirano l’episodio “A proposito della neve fradicia”: Liza, già disarmata e soggiogata, si presenta come vittima ideale di un gioco crudele sotto il quale c’è il desiderio di sopraffazione alla base della psicologia del sottosuolo.
“… io non ero più nemmeno in grado di amare giacché, ve lo ripeto, amare per me significava tiranneggiare e dominare moralmente. Per tutta la mia vita io non sono stato neppure capace di figurarmi un amore diverso… non sono mai stato capace di rappresentarmi l’amore altrimenti che come una lotta, in cui cominciavo dall’odio e finivo con l’assoggettamento morale, dopo di che non sapevo mai che fare dell’essere assoggettato…”
L’uomo del sottosuolo però intuisce che esiste qualcosa di cui ha letto solo nei libri ma non ha mai né provato né sentito: una specie diversa di amore, un amore che può essere la strada, l’unica, per la quale potrebbe ottenere quel riconoscimento di se stesso che aveva sempre tanto tentato di conquistare. Così, in un istante, si abbandona e senza alcun ritegno confessa a Liza la sua infelicità, la sua miseria e la sua vita ridotta in una continua lotta con gli altri. Ma, dopo quest’attimo di piena sincerità, torna a essere ciò che è stato e sempre sarà: la rivelazione non l’ha salvato, l’idea di trovarsi in condizione di inferiorità gli appare intollerabile, scaccia Liza non con “una malvagità di cuore, bensì della mia stupida testa”.
Per Dostoevskij, l’unica soluzione del dramma dell’uomo del sottosuolo è l’amore, di cui Cristo ne è simbolo e realizzazione.